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Arcimboldo, Caravaggio, Cézanne e Warhol. Quattro nomi per capire il rapporto tra cibo e arte

Curiosità
5/16/14

Il cibo è sempre stato considerato uno dei piaceri della vita. Anzi, è il piacere universale perché un buon piatto gratifica, appaga e delle volte consola vista la sua capacità di sostenere (perfino) moralmente quando gli affetti non lo fanno.
In molti ci hanno anche messo in guardia dai suoi eccessi (si tratta di un piacere accessibile a tutti, ad ogni età e condizione sociale) ma l’arte ha sempre trascurato queste avvisaglie. Per questo il piacere universale è stato l’ingrediente chiave della vita emotiva (ed espressiva) di molti artisti. Ricerca, curiosità e soprattutto divertimento. Sono queste le parole chiave di cui alcuni pittori si sono serviti per mettere a fuoco il cibo attraverso un punto di vista nuovo, innovativo, che spesso sfugge all’occhio pigro.

Si può dipingere di cibo?

Certo che sì. Non solo per celebrarlo o al contrario mortificarlo ma per capirlo. Non solo si può, si deve e, a confermare questa tesi ci pensa Oscar Wilde: “Non riesco a sopportare quelli che non prendono seriamente il cibo”.  

Nel XVI sec, all’inizio della sua luminosa carriera, il giovane Giuseppe Arcimboldi (meglio noto come Arcimboldo) collaborò con il padre alla realizzazione dei disegni preparatori per le vetrate del Duomo di Milano. La sua fama arrivò però più tardi, giocando con i desideri dell’immaginazione umana attraverso le sue Teste Composte: fisionomie grottesche ottenute attraverso bizzarre combinazioni di fiori, frutta e verdura.
Risultato? Un perfetto e suggestivo collegamento tra natura e uomo.






Quasi coetaneo di Arcimboldo, anche Michele Merisi (ai molti Caravaggio) merita un posto di tutto rispetto nella nostra ricerca. Quello che ha fatto di lui il pittore più originale del XVII secolo, addirittura l’iniziatore di un’arte nuova, è il modo di usare la luce. A partire dai suoi contrasti nettissimi tra luci e ombre.
Un’opera su tutte? La Canestra di Frutta. Nel dipinto, le foglie appassite e il loro stato di maturazione avanzata danno l’idea di una particolare atmosfera di decadenza autunnale in netto contrasto con le altre nature morte dell’epoca (allegoriche per tradizione). L’obiettivo? Parlare della convivenza tra vita e morte. 






Al contrario di Caravaggio, Cézanne ebbe una vita sociale piuttosto tranquilla che non lo allontanò dal proprio paese per sfuggire alla pena di morte. L’artista francese si dedicò all’arte fin da piccolo superando l’opposizione del padre (agiato banchiere della zona) inizialmente dipingendo opere dai colori cupi. In seguito invece si avvicinò agli impressionisti adottando gradualmente colori sempre più chiari.
Incredibile ma allo stesso tempo vero, per anni le sue opere furono rifiutate dalle esposizioni di tutto il mondo!

Il suo successo arrivò solo verso la fine del secolo, riconoscendo la usa arte come il punto di partenza per tutta la pittura del ‘900. Eccovi un esempio: Natura Morta con Ciliegie e Pesche.   
Nel dipinto è infatti singolare il distacco da ogni desiderio che non sia estetico contemplativo. La frutta sul tavolo e i piatti non sono disposti per un pasto, non hanno nulla della formalità umana. L’artista raffigura qualcosa da contemplare più che da vivere perché esiste un disordine naturale, quasi pre-umano da dominare. 






Lontane anni luce dalla tecnica di Cézanne sono invece le serigrafie di Andy Warhol, al secolo Andrei Warhola. L’artista cominciò a lavorare come illustratore pubblicitario prima di dedicarsi completamente alla pop art rappresentando oggetti di uso comune come bottiglie di Coca-Cola o lattine di zuppa Campbell’s.
Nel suo pensiero, l’arte (in quanto pop) doveva essere consumata come tutti gli altri prodotti commerciali di massa.

Rispetto però alle opere finora analizzate qui lo scoglio non è rappresentato dal processo realizzativo quanto da quello interpretativo. Per diventare di massa, un oggetto ha bisogno di una forte identità per rendersi immediatamente riconoscibile in una società in cui, le persone, perdono la propria individualità per far parte della massa.    
Il gioco è tutto qui. Paradossalmente l’oggetto di consumo, anche se banale, assume una propria essenza attraverso i mass media diventando l’unico elemento oggettivo su cui la persona umana proietta la propria soggettività. 






Visti i nomi scomodati, non dobbiamo sorprenderci se oggi (e ieri) il cibo ricopre un ruolo così ingombrante nelle nostre vite. Non trovate?