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Il legame tra cibo e letteratura. Storia di un’alchimia perfetta

Curiosità
02/04/14

Da sempre cibo e cucina sono utilizzati come grandi metafore dell’esistenza. La letteratura è intrisa di momenti conviviali, di ricette, di alimenti perché… tutto ciò che ha a che vedere con il cibo ha inevitabilmente anche a che fare con la vita. 

A cominciare dai classici per eccellenza: L’Odissea. Nel poema è forte la metafora del cibo, tanto da considerarlo al di là del semplice nutrimento.
Svolge infatti un’importante funzione sociale perché nutrire i viaggiatori è il primo sacro dovere di ogni padrone di casa! Per questo i banchetti si moltiplicano.
Ricorre molto spesso tra i versi l’espressione “dopo che si furono tolta la voglia di mangiare e bere”.
Il cibo, così come il bottino e le prede, è sempre diviso equamente tra i commensali sottolineando giustizia e sacralità. Per questo una parte è sempre destinata agli dei! 

Omero inoltre dona al cibo anche una funzione collettiva. Spesso i banchetti descritti sono inaugurati con sacrifici o rituali secondo regole precise. Qualche esempio?
Cosce di tori in sacrificio a Poseidone, grani d’orzo quando si invoca Atena, giovenche in onore di Zeus.    






Passando ai tempi moderni, è impossibile non menzionare Alla ricerca del tempo perduto di Proust, romanzo nato dai ricordi evocati dal sapore di una madeleine (dolce morbido a forma di conchiglia).
Nelle pagine dell’opera sono numerosissimi i collegamenti al cibo. Basti pensare al ruolo centrale di Françoise (la cuoca della zia Léonie), alla passione per il gelato dell’amata Albertine oppure alle grida dei venditori del mercato di Parigi.  
Come inoltre dimenticare le dettagliate descrizioni del ricevimento in casa di Madame de Villeparisis e del pranzo della duchessa di Guermantes! Uniche!






Anche se gli esempi da fare sono tantissimi e soprattutto molto variegati, merita una menzione particolare anche la grande abbuffata de Il pranzo di Babette. Scritto nel 1950 da Karen Blixen sotto lo pseudonimo di Isak Dinesen, il romanzo racconta di un dono (un pranzo da 10 mila franchi) offerto da Babette alle due donne anziane (e agli abitanti del villaggio) per averla salvata in un momento di grave difficoltà.
Il racconto vive dell’attenzione rivolta ai particolari. Sia nella preparazione sia nella degustazione. Per questo, cibo e cucina sono scrutati attraverso gesti semplici, mettendo la lente d’ingrandimento sui particolari meno evidenti.

Il menù comprende: brodo di tartaruga, blinis dermidoff (grano saraceno con caviale e panna acida), quaglie in crosta con salsa périgourdine (foie gras e salsa al tartufo), insalata mista, formaggi francesi, savarin al rum, frutta mista, caffè e friandises.
Per quanto riguarda i vini: Amontillado Clos de Vougeot del 1845 e Champagne Veuve Clicquot del 1860.

Nella storia il potere del cibo è dunque questo: evocare qualcosa di non dimenticato e inevitabilmente vivo, quel potere non casuale che rimanda a frammenti di storie, volti e ricordi che costituiscono la memoria più preziosa dei protagonisti. 






Come visto, la letteratura non fa che prendere atto del ruolo ingombrante del cibo nello scorrere dell’esistenza. Qualcuno sostiene in maniera provocatoria che forse la vita è un grande pranzo, interrotto solo da impegni di lavoro.

Siete d’accordo?

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